
Pubblicato di recente su “Gastroenterology”, uno studio americano della Mayo Clinic suggerisce che un nuovo esame del sangue potrebbe presto sostituire la gastroduodenoscopia con biopsia dei villi duodenali per porre diagnosi di celiachia, malattia autoimmune multi-organo scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti.
Attualmente la diagnosi nell’adulto richiede un prelievo di sangue per la valutazione di anticorpi specifici per la malattia celiaca (quali anticorpi anti-transglutaminasi IgA e anticorpi anti-endomisio) associata all’esecuzione di una esofago-gastro-duodenoscopia (Egds) con biopsie effettuate a livello della seconda porzione del duodeno.
Negli ultimi anni il dibattito tra gli esperti di celiachia sulla necessità di eseguire la biopsia anche nell’adulto al momento della diagnosi quando gli anticorpi risultano positivi. Inoltre, è noto che dopo aver instaurato una dieta priva di glutine, per seguire l’evoluzione della malattia il dosaggio degli anticorpi anti-transglutaminasi e anti-endomisio non consente di distinguere adeguatamente i soggetti con persistente danno intestinale da quelli dove è stato raggiunto un completo ripristino della mucosa.
Gli autori sono andati a testare l’utilità del complesso tTg-Dgp (transglautaminase-deamited gliadin complex, un complesso di peptidi sintetizzati di gliadina deaminata e transglutaminasi) come marcatore diagnostico di celiachia e come marcatore di guarigione della mucosa intestinale in corso di dieta senza glutine. Questo nuovo test ha dimostrato una sensibilità del 99 % (1 % di falsi negativi) e una specificità del 100 % (0 % di falsi positivi) nel distinguere i pazienti con celiachia dai soggetti sani. L’utilizzo di questo test come marker di guarigione della mucosa intestinale in corso di dieta senza glutine ha invece presentato una sensibilità dell’84 % e specificità del 95 % nel predire la guarigione mucosale.
«Questo studio» commentano Fabiana Zingone dell’Università di Padova ed Edoardo V. Savarino dell’Università di Padova e membro del Consiglio Direttivo Sige (Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva) «ci proietta dunque verso l’impiego di un nuovo biomarcatore utile sia ai fini diagnostici che di monitoraggio della malattia celiaca, che potrebbe, in soggetti selezionati, evitare l’esecuzione della biopsia duodenale sia per la diagnosi che per il monitoraggio dei pazienti con celiachia.